lunedì 20 ottobre 2014

Shellac (1994) At Action Park


Artist: Shellac
Title: At Action Park
Label: Touch And Go - TG141CD
Format: CD, Album
Country: US
Released: 24 Oct 1994
Genre: Rock
Style: Alternative Rock, Punk

Band:
Steve Albini - Guitar, Voice [Velocity]
Bob Weston - Bass, Voice [Mass]
Todd Trainer - Drums [Time]

Songs:
01 My Black Ass
02 Pull The Cup
03 The Admiral
04 Crow
05 Song Of The Minerals
06 A Minute
07 The Idea Of North
08 Dog And Pony Show
09 Boche's Dick
10 Il Porno Star

Il rock come matematica, le sue componenti come variabili fisiche: il basso è la massa, la chitarra la velocità, la batteria il tempo. Bob Wetson, Steve Albini, Todd Trainer: ovvero gli Shellac. Dopo aver squassato il rock indipendente americano con due delle band noise-hardcore più truci degli anni Ottanta, Big Black e Rapeman, nel 1989 Steve Albini, deluso dai meccanismi ingannevoli dell’industria discografica (anche il circuito indipendente offre le sue belle fregature), decise di prendersi una pausa di riflessione col rock, almeno come musicista, dato che la sua brillante carriera parallela di ingegnere del suono continuava più spedita che mai, grazie alle collaborazioni con Jesus Lizard, Slint, Jon Spencer, Fugazi, solo per citare le prime che si rammentano.

Tornò nel 1992, Albini, deciso ancora una volta a fare a brandelli il rock, accompagnato dagli altrettanto “cattivi” propositi di Wetson e Trainer, formando gli Shellac (Of North America), che nel giro di due anni firmarono l’epitaffio definitivo sulla tomba del rock americano. Dalle ceneri dell'hardcore erano nati il post-core,il post rock, lo slo-core, il math rock; gli Shellac li presero in toto, facendo di tutt’erba un fascio, e li gettarono in un tritacarne: quel tritacarne è “At Action Park”.

Ogni carneficina, però, per riuscire deve essere studiata con cura e gli Shellac la progettarono e la portarono a termine con perizia e precisione scientifiche. Albini, a cui non piacciono i termini inventati dai critici, lo definisce rock minimalista, ma è innegabile che nelle dieci tracce di “At Action Park” siano ravvisabili gli elementi tipici del math-rock (il ricorso a tempi asimmetrici, gli improvvisi cambi di ritmo, il timbro spigoloso e geometrico degli strumenti a corda, l’insostenibile intensità sonora di stampo noise delle chitarre), ma allo stesso tempo il sound del disco si allontana dall’indole progressiva propria di gruppi math-rock come Don Caballero e Blind Idiot God, la cui musica sembra dipanarsi verso l’infinito piuttosto che avvilupparsi nel nulla, come invece avviene per gli Shellac.

La musica contenuta in “At Action Park” è sintomo, e non simbolo, della condizione umana contemporanea: un assordante mutismo, un incurabile solipsismo, un’isteria senza valvola di sfogo. I trentasette minuti di durata del disco sembrano essere suonati da musicisti con l’acqua alla gola, bisognosi di uscire da una situazione opprimente, ma incapaci di farlo. Claustrofobico ma urgente e diretto: suona così “At Action Park”, anche grazie alla consueta tecnica di registrazione usata da Albini, l’anti-Eno per eccellenza, che cattura “dal vivo” la performance della band in studio, senza ricorrere alla canonica registrazione multitraccia, in modo da restituire in cuffia la spontaneità del suono.

Wetson reitera accordi pesanti, prolungandone se necessario la durata, e prepara la strada per le divagazioni timbriche, racchiuse in figure ritmiche molto complesse, della batteria di Trainer.
Per gli Shellac l’arte è esatta come la matematica, ed è la somma dei singoli addendi a fare il totale. Totale che non può prescindere, dunque, dalla chitarra di Albini e dalle sevizie armoniche da essa perpetrate (“My Black Ass”, “Pull The Cup”). Tutti i brani sembrano contribuire alla denuclearizzazione, per mezzo di un processo compositivo razionalizzante, degli stili musicali che hanno dominato la scena indipendente americana dal post-punk in poi. Ecco, allora, susseguirsi una torva marcia belligerante à-la Jesus Lizard (“Crow”), un hardcore impotente tipo Fugazi (“Song Of The Minerals”), una cantilena paranoica da Pere Ubu meno dadaisti e molto più incazzati (“A Minute”), un punk’n’roll per ferraglie arrugginite (“Dog & The Pony Show), che mettono ordine al delirio di un tempo: l’anarchia diventa controllata e questo la rende ancor più agghiacciante.

“The Idea Of North” si aggira per territori profondamente Slint-iani, con gli accordi di chitarra ridotti a scampanellii e la voce a un sussurro. Poi l’esplosione. E infine il vuoto. Chiude il disco la carcassa metallica in decomposizione di “Il Porno Star”: Albini ripete senza sosta accordi strozzati che forniscono un pretesto a Trainer per trovare il logaritmo in base “ritmo” dell’Apocalisse.

L’ Action Park di cui il titolo era un famoso parco giochi acquatico del New Jersey, chiuso poi nel 1996. Qui però non c’è spazio per il cazzeggio: il rock non è svago giovanile stereotipato; il rock spesso è dramma. Buon divertimento.

Recensione di Salvatore Setola


Shellac (1994) At Action Park

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