Shellac (1994) At Action Park
Artist: Shellac
Title: At Action Park
Label: Touch And Go - TG141CD
Format: CD, Album
Country: US
Released: 24 Oct 1994
Genre: Rock
Style: Alternative Rock, Punk
Band:
Steve Albini - Guitar, Voice [Velocity]
Bob Weston - Bass, Voice [Mass]
Todd Trainer - Drums [Time]
Songs:
01 My Black Ass
02 Pull The Cup
03 The Admiral
04 Crow
05 Song Of The Minerals
06 A Minute
07 The Idea Of North
08 Dog And Pony Show
09 Boche's Dick
10 Il Porno Star
Il
rock come matematica, le sue componenti come variabili fisiche: il
basso è la massa, la chitarra la velocità, la batteria il tempo. Bob
Wetson, Steve Albini, Todd Trainer: ovvero gli Shellac. Dopo aver
squassato il rock indipendente americano con due delle band
noise-hardcore più truci degli anni Ottanta, Big Black e Rapeman, nel
1989 Steve Albini, deluso dai meccanismi ingannevoli dell’industria
discografica (anche il circuito indipendente offre le sue belle
fregature), decise di prendersi una pausa di riflessione col rock,
almeno come musicista, dato che la sua brillante carriera parallela di
ingegnere del suono continuava più spedita che mai, grazie alle
collaborazioni con Jesus Lizard, Slint, Jon Spencer, Fugazi, solo per
citare le prime che si rammentano.
Tornò nel 1992,
Albini, deciso ancora una volta a fare a brandelli il rock, accompagnato
dagli altrettanto “cattivi” propositi di Wetson e Trainer, formando gli
Shellac (Of North America), che nel giro di due anni firmarono
l’epitaffio definitivo sulla tomba del rock americano. Dalle ceneri
dell'hardcore erano nati il post-core,il post rock, lo slo-core, il math
rock; gli Shellac li presero in toto, facendo di tutt’erba un fascio, e
li gettarono in un tritacarne: quel tritacarne è “At Action Park”.
Ogni
carneficina, però, per riuscire deve essere studiata con cura e gli
Shellac la progettarono e la portarono a termine con perizia e
precisione scientifiche. Albini, a cui non piacciono i termini inventati
dai critici, lo definisce rock minimalista, ma è innegabile che nelle
dieci tracce di “At Action Park” siano ravvisabili gli elementi tipici
del math-rock (il ricorso a tempi asimmetrici, gli improvvisi cambi di
ritmo, il timbro spigoloso e geometrico degli strumenti a corda,
l’insostenibile intensità sonora di stampo noise delle chitarre), ma
allo stesso tempo il sound del disco si allontana dall’indole
progressiva propria di gruppi math-rock come Don Caballero e Blind Idiot
God, la cui musica sembra dipanarsi verso l’infinito piuttosto che
avvilupparsi nel nulla, come invece avviene per gli Shellac.
La
musica contenuta in “At Action Park” è sintomo, e non simbolo, della
condizione umana contemporanea: un assordante mutismo, un incurabile
solipsismo, un’isteria senza valvola di sfogo. I trentasette minuti di
durata del disco sembrano essere suonati da musicisti con l’acqua alla
gola, bisognosi di uscire da una situazione opprimente, ma incapaci di
farlo. Claustrofobico ma urgente e diretto: suona così “At Action Park”,
anche grazie alla consueta tecnica di registrazione usata da Albini,
l’anti-Eno per eccellenza, che cattura “dal vivo” la performance della
band in studio, senza ricorrere alla canonica registrazione
multitraccia, in modo da restituire in cuffia la spontaneità del suono.
Wetson
reitera accordi pesanti, prolungandone se necessario la durata, e
prepara la strada per le divagazioni timbriche, racchiuse in figure
ritmiche molto complesse, della batteria di Trainer.
Per gli
Shellac l’arte è esatta come la matematica, ed è la somma dei singoli
addendi a fare il totale. Totale che non può prescindere, dunque, dalla
chitarra di Albini e dalle sevizie armoniche da essa perpetrate (“My
Black Ass”, “Pull The Cup”). Tutti i brani sembrano contribuire alla
denuclearizzazione, per mezzo di un processo compositivo
razionalizzante, degli stili musicali che hanno dominato la scena
indipendente americana dal post-punk in poi. Ecco, allora, susseguirsi
una torva marcia belligerante à-la Jesus Lizard (“Crow”), un hardcore
impotente tipo Fugazi (“Song Of The Minerals”), una cantilena paranoica
da Pere Ubu meno dadaisti e molto più incazzati (“A Minute”), un
punk’n’roll per ferraglie arrugginite (“Dog & The Pony Show), che
mettono ordine al delirio di un tempo: l’anarchia diventa controllata e
questo la rende ancor più agghiacciante.
“The Idea Of
North” si aggira per territori profondamente Slint-iani, con gli accordi
di chitarra ridotti a scampanellii e la voce a un sussurro. Poi
l’esplosione. E infine il vuoto. Chiude il disco la carcassa metallica
in decomposizione di “Il Porno Star”: Albini ripete senza sosta accordi
strozzati che forniscono un pretesto a Trainer per trovare il logaritmo
in base “ritmo” dell’Apocalisse.
L’ Action Park di cui
il titolo era un famoso parco giochi acquatico del New Jersey, chiuso
poi nel 1996. Qui però non c’è spazio per il cazzeggio: il rock non è
svago giovanile stereotipato; il rock spesso è dramma. Buon
divertimento.
Recensione di Salvatore Setola
Shellac (1994) At Action Park
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